Dal momento che...

Il respiro di Big Sur nella mente di Kerouac

bigsur_copertinaL’importanza di un romanzo come Big Sur per l’opera del suo autore, Jack Kerouac, è raccolta tutta nelle righe che aprono il libro, scritte da lui stesso. «La mia opera – si legge – forma un unico grosso libro come quella di Proust; soltanto che i miei ricordi sono scritti di volta in volta e non dopo in un letto malato. […] L’insieme forma un’enorme commedia, veduta attraverso gli occhi del povero Ti Jean (io), altrimenti noto come Jack Duluoz, il mondo della furibonda azione, della follia, e anche della dolcezza soave, veduto attraverso quel buco della chiave che è il suo occhio». È l’autore stesso a confermare la propria tendenza al racconto autobiografico che qui – più che in altri romanzi – è chiaramente espresso, come se Kerouac avesse deciso, alla fine, di eliminare tutte (o quasi) le barriere letterarie che si frappongono tra il racconto biografico e il lettore, ad esempio i nomi inventati.

Kerouac scrive questo romanzo nel 1962 a seguito di un crollo nervoso che lo porta a trasferirsi in California da suo amico poeta Lawrence Ferlinghetti (nel libro è Lorenzo Monsanto), il quale gli offre alloggio in una piccola casa di sua proprietà nei pressi del grande parco di Big Sur. Il romanzo è centrale nell’epopea dello scrittore perché segna il passaggio dalla fama smisurata alla follia. La grande componente di vita privata che Kerouac inserisce nelle proprie opere aiuta il lettore a chiarire facilmente quale fosse il suo stato d’animo, in preda alle tentazioni dell’alcool come via di fuga da una notorietà che lo spaventa, eppure consapevole di doverne uscire in qualche modo per ottenere la salvezza. C’è qualcosa di religioso in tutto questo, come se Kerouac vivesse questa discesa “agli inferi” come il prezzo da pagare per i propri peccati e fosse in attesa della loro espiazione.

La poesia che chiude il libro, scritta durante il primo dei tre soggiorni di Jack Kerouac a Big Sur, contiene elementi onomatopeici utilizzati secondo canoni stilistici quasi futuristi per descrivere l’Oceano Pacifico sotto gli effetti dei fumi alcolici. Si riscontrano anche elementi linguistici francofoni che dichiarano le origini dell’autore. Ma è importante anche l’accenno religioso che chiude la poesia, e che riporta alle venature cristiane (sono le origini culturali di Kerouac, del resto) che traspaiono dal romanzo: «[…] va carne, il mare deve essere / profondo Io ti vedo / Enoc’h / presto e dopo / nell’Antica Britannia». Il chiaro riferimento storico è a Enoch, personaggio biblico autore di un libro apocrifo e che, insieme al profeta Elia, ascese in cielo e non vide la morte. Secondo alcune credenze, Enoch ed Elia torneranno sulla terra per sconfiggere l’Anticristo, per questo il Signore li avrebbe conservati integri. L’Antica Britannia identifica la fase della storia inglese che va dalla Preistoria alla conquista romana della Britannia. A questo periodo risalirebbe, con una forzatura, il Libro di Enoch, testo aprocrifo scritto dal profeta, bisnonno di Noé, che racconta della caduta degli angeli vigilanti che ha portato Dio a inviare sulla terra il Diluvio universale. Fasti, esagerazioni, collasso, caduta, pulizia ed espiazione finale. Kerouac danza nella religione e nella propria furia mentale per raccontare se stesso e la società in cui vive, che non lo capirà, cercando qualcuno che lo ascolti e lo aiuti.

L’oblio che solo sette anni più tardi lo stroncherà dopo una cirrosi epatica si manifesta in tutta la propria gravità tra gli alberi di Big Sur, che accompagnano lo scrittore verso una progressiva decadenza mentale. Kerouac descrive molto dettagliatamente, con la tecnica del flusso di coscienza, le sensazioni provate tra quei boschi. Per comprendere il personaggio e i suoi deliri successivi, che sconcerteranno persino Fernanda Pivano, sua principale traduttrice italiana, che lo intervisterà nel 1966 durante una tournée nel Belpaese organizzata da Mondadori, l’opera è necessaria. Il caos della società americana che, affamata di letteratura, sembra fagocitare lo scrittore e i suoi scritti, soffoca il padre della Beat generation e lo induce alla fuga. Significativa la sua dichiarazione a p.11: «[…] in tutta l’America i giovincelli delle medie e dell’università pensano “Jack Duluoz ha ventisei anni e non fa che viaggiare con l’autostop”, mentre invece eccomi qui quasi quarantenne, tediato e logoro su una cuccetta di uno scompartimento riservato che corre rombando attraverso Salt Flat […]».

Il malessere di cui è vittima si esprime con forza e pare vincerlo, seppure in un barlume di lucidità sembri ancora tornare artefice del proprio destino. Big Sur forse è l’ultimo luogo che ha visto Kerouac tornare in sé, prima di scomparire, pian piano, all’interno di un mondo pesante e chiassoso. La sua debolezza mentale non riuscirà a reggere alla stretta fatale della fama e dei personaggi da lui stesso creati, orfani di un obiettivo e costantemente alla ricerca di qualcosa, specchio impietoso della realtà che Kerouac ha ferocemente raccontato.

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