Il nostro ricordo di Whitman è iniziato qui. Siamo alla quarta puntata.
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Il grande viaggio di Walt Whitman si svolge all’interno di se stesso, quasi fosse un esperimento, un mezzo per scoprire l’essenza umana e capire come è composta. Le metafore della Natura, ma soprattutto dell’uomo che ha a che fare con la Natura, sono fondamentali per il Poeta, che utilizza l’essere umano come unità di misura del mondo, donandovi un vibrante centralità.
Siamo in un momento in cui il respiro dell’uomo diventa mezzo di trasporto per i sentimenti e per la volontà, alla ricerca di legami. Sarà forse questa ricerca ad aver spinto Whitman a comporre Foglie d’erba? Le figure che evoca possono essere delle prove per testare la natura e la resistenza di questi legami. Sicuramente, ciò che prima di ogni cosa impressiona l’autore è la loro forza, in grado di tenere uniti degli oggetti che distano migliaia di chilometri tra loro.
Ed ecco che Whitman si avvia a descrivere che cosa portare con sé durante questa lunga ricerca. Vittorie? Momenti belli? Trionfi sul nemico? Macché, meglio considerare le sconfitte. La poesia a lui contemporanea sembra non interessargli. Solo nella sconfitta l’uomo sembra ritrovare se stesso e la propria natura, rafforzando i propri legami con la vita e con le altre persone: ha bisogno di loro e, se ha forza, lo ammette. «Siamo in un’epoca, tra il 1855 e il 1891, nella quale cantare dell’unione, se non prevede armi o stati in guerra, appare incomprensibile», si tratta di un qualcosa che va contro il comune sentire, possiamo parlare di rivoluzione? Risulta di difficile comprensione perché non c’è uno scopo che vada oltre la ‘semplice’ appartenenza.
Allora se all’interno dell’appartenenza alla Natura anche l’uomo è Natura, non è vero che la morte è inutile, anzi, l’uomo è come un fiore che sfiorisce lasciando i semi, i quali a loro volta faranno nascere delle nuove vite, nuovi fiori. Proprio in questo sfiorire, che corrisponde all’azione dell’apertura dei petali, è possibile scoprire cosa c’è dentro una vita. Si tratta di altre vite? L’importante è parlarne, condividere, perché «svuotare l’anima nelle parole non crea un ammanco».
Il discorso della morte, soprattutto quella violenta e ingiusta, turba moltissimo Whitman, che descrive l’omicidio di oltre quattrocento giovani esaltando il loro coraggio. La loro vita non è stata inutile perché ha creato un ricordo, un’emozione, una voglia di rivalsa. Quando parla della gloria e della battaglia somiglia un po’ ai poeti suoi contemporanei, con la differenza che egli pone l’accento sulla sconfitta anziché enfatizzare le vittorie. Le ceneri dei caduti sembrano quasi nutrire la pianura, il loro è un ritorno alla Terra, madre di ogni cosa, che accoglie quelle anime per donare loro una nuova vita, magari attraverso un filo d’erba. Non parla di reincarnazione, ma la grande unione della Natura che Whitman descrive lascia sottendere a un’appartenenza tale, tra gli esseri viventi e l’ambiente, da non rendere più necessaria la distinzione tra vita e morte. Ebbene, in questa unità, anche il più piccolo refolo di vento può lasciare un segno, perché non è importante la grandezza di un elemento, bensì la sua essenza.
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